Fanno pensare le due immagini utilizzate da Gesù – il sale e la luce – per indicare a quali responsabilità sono chiamati i suoi discepoli. Il sale insipido non serve a niente, si butta via. La luce sotto il letto idem. Quindi, sale e luce hanno funzioni precise, su cui riflettere.
«Voi siete», ripete Gesù, non: voi dovete essere, sarebbe meglio che foste, potreste essere. L’indicativo afferma un’identità ricevuta, che i cristiani riconoscono nel battesimo, quando l’immersione in Gesù Signore ci ha fatti nuovi. Non a caso, una volta si metteva anche il sale sulla bocca del battezzando; sempre, poi, i genitori accendono la candela dal cero pasquale. Simboli antichi, rituali, liturgici che vengono dal brano del vangelo di oggi. Ma cosa vuol dire concretamente essere sale e luce per i discepoli del Signore? La conclusione del brano lo spiega bene: «Così brilli la vostra luce davanti agli uomini, perché vedendo le vostre belle azioni glorifichino il Padre vostro che è nei cieli».
Se gli altri vedono che dai sapore a ciò che fai, e non lo fai per fare il saputello o il primo della classe, guarderanno al di là di te, sarai un mezzo, non un fine. Se ti comporti in modo limpido, trasparente e sei una persona luminosa – oggi si dice “solare”, in modo stucchevole e insopportabile –, chi ti incontra sentirà un po’ di calore, avvertirà che non sei la luce, ma la rifletti, come fa la luna rispetto al sole.
Dunque, non si tratta di essere sapientoni né illuminati, gente che si dà delle arie, magari in nome del Vangelo, ma persone che portano un tesoro in vasi di creta, perché si avverta che il bene compiuto ci attraversa, viene da altrove, dal Signore, e non da noi.
Il sale serve a dare sapore alle pietanze: il suo posto non è nella saliera, ma nella minestra. La luce serve ad illuminare le cose e le persone, non a brillare nel nulla. Ciò vuol dire che sono i rapporti con gli altri a verificare chi siamo, da dove veniamo, cosa portiamo. Una persona che sa di qualcosa fa star meglio gli altri, li valorizza, non deprime chi è già sconsolato, tira su invece di abbattere. Colui che sta volentieri al sole, piuttosto che nell’ombra, trascina fuori gli altri dalla nebbia, dall’invisibilità, dalla tristezza.
Dio ci scampi da incontrare saggi che non muovono un dito per aiutare gli altri; da essere lampadari scintillanti in stanze vuote d’amore e di compassione. Colui che insaporisce la vita altrui viene dallo Spirito; chi apre la strada ai fratelli riflette un raggio dell’unico che è la luce del mondo, il Signore Gesù.
In conclusione, il vangelo di oggi ci carica di entusiasmo, per dedicarci al servizio con gioia, come diceva papa Francesco ai giovani di Abruzzo e Molise (5 luglio 2014): «Ma voi sapete da dove viene questa parola: entusiasmo? Viene dal greco e vuol dire “avere qualcosa di Dio dentro” o “essere dentro Dio”. L’entusiasmo, quando è sano, dimostra questo: che uno ha dentro qualcosa di Dio e lo esprime gioiosamente. Siete aperti – con questo entusiasmo – alla speranza e desiderosi di pienezza, desiderosi di dare significato al vostro futuro, alla vostra intera vita, di intravedere il cammino adatto per ciascuno di voi e scegliere la via che vi porti serenità e realizzazione umana».
don Maurizio