Le beatitudini che Gesù proclama sul monte sono un potente invito a puntare il nostro sguardo sul presente e sul futuro, in due direzioni diverse e complementari. Da una parte, attraverso un ribaltamento dei valori, Gesù annuncia il riscatto di coloro che sono considerati perdenti in questo mondo. La promessa di Dio è rivolta ai poveri, a coloro che piangono, a chi soffre ingiustizie e ai perseguitati nel suo nome.
D’altra parte, il Signore chiama beati coloro che hanno un cuore mite, misericordioso, limpido, pacifico, perché costruiscono dove altri distruggono. Sono due orizzonti che s’intrecciano: quello di chi vive la prova con fatica, non ce la fa e rischia di soccombere, e quello di chi dà testimonianza che è possibile un mondo diverso.
Insomma, c’è speranza per tutti, ma alla condizione che non si rimandi soltanto a Dio, nel futuro, il compito di risollevare i sofferenti, da una parte, e di premiare i buoni, dall’altra. Questa lettura sarebbe fuorviante, perché fragilità e amore sono possibili insieme, per tutti, dal momento che Gesù ha assunto ogni debolezza umana trasformandola con la potenza del dono di sé. Ciò significa che la distanza tra deboli e forti può e deve essere colmata.
Questo è il progetto di Dio sull’umanità intera: i deboli hanno bisogno di coloro che, con un sovrappiù di amore, si mettono al loro servizio, con generosità e disinteresse. Quello umano non è uno scenario che il Signore guarda dall’alto, lasciando che le cose vadano come vanno.
Considerare le beatitudini solo come una promessa, dunque, non basta: è anche un compito che ci è affidato. Tocca a ciascuno di noi asciugare le lacrime di chi piange, consolare chi patisce, lottare per la giustizia, difendere chi è perseguitato.
Mentre attendeva di accarezzare il volto del bambino Gesù, Maria aveva già contemplato l’opera iniziata dal Signore, che «ha fatto cadere i potenti dai loro troni e ha innalzato i piccoli; ha ricolmato gli affamati di ogni bene, e ha mandato via i ricchi spogliandoli di tutto». Anche se ai nostri occhi, e di fatto, sopravvivono abissi di lontananza tra gli uomini, esiste parimenti la potente azione del Signore affidata alle fragili mani e al cuore saldo chi ama e spende la vita per amore dei fratelli e delle sorelle.
Non si tratta, dunque, di aspettare il rovesciamento delle sorti umane da parte di un Dio giudice finale, ma piuttosto di far nostra la preghiera di san Francesco d’Assisi: «Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace: dove è odio, fa ch’io porti amore, dove è offesa, ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’unione […]. Dove è tristezza, ch’io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch’io porti la luce».
Il mondo nuovo, dove rallegrarci ed esultare, comincia quando comprendiamo che «Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi» (Anonimo fiammingo del XIV secolo).
don Maurizio