L’esperienza della guarigione di dieci lebbrosi, che il vangelo di Luca ci racconta, comincia in un modo e finisce in un altro. Tutti si presentano a Gesù con fiducia, confidano che Egli possa guarirli, e lo gridano a gran voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Non c’è contatto, restano a distanza, ma basta la parola del Maestro a dar seguito alla loro richiesta. Sono inviati ai sacerdoti, che avrebbero dovuto dichiarali puri, per essere reintegrati nella comunità dalla quale erano esclusi. Il potere religioso, che li certificava come lontani da Dio, e perciò lontani dagli uomini, poteva riammetterli. Lebbra vuol dire in certo senso peccato, malattia significa punizione.
Il modo col quale Gesù supera questa visione impropria è delicato, non polemico: si limita a chiedere ai lebbrosi una fiducia più grande – «Andate a presentarvi ai sacerdoti» – mentre sono ancora ammalati. Tutti e dieci obbediscono, e si ritrovano purificati lungo la strada. Il racconto potrebbe finire qui, ma c’è la svolta. Uno di loro “si vede guarito” – e lo sono anche gli altri –, ma su di lui lo sguardo di Gesù ha gettato una nuova luce: prende coscienza del dono ricevuto e sente il bisogno di tornare indietro a ringraziare, con un gesto del tutto spontaneo, che fa pensare a come agli altri non sia venuto in mente.
«Era un Samaritano», scrive l’evangelista, mettendo l’accento sulla sua condizione di emarginato due volte: perché separato dal popolo eletto d’Israele e perché lebbroso; magari costretto dalla malattia a stare con altri non del suo gruppo etnico, quindi disprezzato anche da loro. Una volta vistosi guarito, forse avrà avuto anche un motivo in più per non andare dai sacerdoti. Sa bene di essere solo, ma la sua doppia marginalità ha trovato accoglienza: non solo adesso è guarito, purificato, ma anche salvato – così gli dice Gesù: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Non c’è bisogno che diventi un discepolo, può tornarsene a casa sua, non nel gruppo. La sua strada è un’altra, quella di chi ha avuto il coraggio di esporsi, di avvicinare il Maestro senza temere il rifiuto. Il samaritano salvato rappresenta il cammino compiuto che va dalla fede alla riconoscenza; una strada offerta a tutti e non solo alle pecore perdute d’Israele. Egli loda Dio, il Padre, e si prostra ai piedi di Gesù, che è il Figlio.
Interiorizzare il dono ricevuto, rafforzare la fiducia iniziale e approfondire la propria fede è l’itinerario della completa conversione. Se ciò vale per l’ultimo di tutti, significa che è possibile anche per ciascuno di noi, pronti come siamo a chiedere, ma non altrettanto sempre disposti a dire grazie. Lo stesso sguardo accogliente e amoroso del Signore è rivolto anche a noi, ma noi dove siamo?
don Maurizio