Anche quella di oggi è una pagina del vangelo difficile da spiegare, se non nel quadro dell’insegnamento complessivo di Gesù. Alla domanda di un tale su quanti saranno i salvati, il Maestro risponde: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta». L’immagine è quella di una casa con una porta, che ad un certo punto viene chiusa. Fino ad allora è stata aperta a tutti, ma viene un momento in cui alcuni rimarranno fuori. La scena è inquietante: siamo messi di fronte all’ultima possibilità di accesso: o dentro o fuori.
Non siamo abituati a pensare a questa eventualità, perché crediamo di avere sempre tempo e nuove possibilità, di fronte alle situazioni umane, anche alle più complicate. In effetti è così, ma il Signore della storia ad un certo punto, come ha dato inizio così compirà il suo piano di amore e di salvezza. Che ne sarà allora di coloro che gli ripeteranno: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze»?
La risposta del Signore appare come impietosa: «Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». Dio non riconosce coloro che sono stati ingiusti, non tanto verso di Lui, ma verso i fratelli, ai quali la giustizia è dovuta come primo gradino della carità.
Il criterio ultimo col quale saremo giudicati è chiaro per Gesù: ero affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere, e «ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me». La domanda dunque ci riguarda tutti, nel tempo della vita che ci è donato: ci siamo fatti prossimo a questi ultimi e scartati? Le opere che noi chiamiamo di “misericordia”, in realtà sono anzitutto opere di “giustizia”, e ad esse siamo tenuti tutti, senza distinzione di religione, perciò la chiamata alla salvezza è universale.
In definitiva, la porta stretta sono i fratelli più deboli nei quali Gesù si nasconde al punto che potremmo non riconoscerlo. Solo quando ci saremo fatti piccoli, pronti a servirli come nostri signori, avremo accesso alla gioia del Signore, che non avrà fine. Il tempo che abbiamo è dono prezioso da non sprecare; i talenti che abbiamo non vanno sotterrati per paura del rendiconto. Non c’è da temere il giudizio finale: sarà sull’amore accolto e donato, e questo è possibile, anzi necessario, per tutti.
La conclusione della parola di Gesù – «vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» – non è una minaccia, ma un invito a rovesciare fin da adesso l’ordine delle relazioni, e questo è il compito da assolvere che ci è affidato. Alla fine lo riconosceremo come un dono, perché quel che non abbiamo fatto noi, lo compirà il Signore, nella sua giusta misericordia.
don Maurizio