Il vangelo della festa dell’Assunta ci presenta il canto del Magnificat. Sulle labbra della Vergine esplode l’esultanza, una volta resasi conto dell’avventura straordinaria in cui si è lasciata condurre. Maria non canta da sola, ma insieme al suo popolo, come serva del Signore e figlia di Sion: le parole antiche disseminate nella sacra Scrittura adesso trovano compimento, perciò sono le sue e debbono diventare le nostre.
Come un’innamorata, Maria cerca appellativi con cui chiamare il suo amato: Signore, Dio, Salvatore, Onnipotente, Santo. La parola più strana e difficile da tradurre è megalýnei (magnifica, fa grande, esalta la grandezza), con cui ella esprime la sua profonda, interiore, personale esperienza delle cose grandi che Dio ha compiuto nella sua piccolezza. Tutto è dono immeritato: lei lo sa, e lo annuncia a tutti. Misericordia è la parola che risuona nella seconda parte del canto, che raccoglie due linee del pensiero ebraico antico: la compassione (rahamim) e la fedeltà (hesed) di Dio, per le quali egli si commuove nel profondo delle sue viscere materne e si stringe con amore al suo popolo.
Insieme alla permanente opera di tenerezza, pietà, compassione, clemenza e bontà del Signore, Maria riconosce gli effetti che toccano ai superbi, ai potenti e ai ricchi quando umiliano, sottomettono e disprezzano i deboli: la dispersione, il rovesciamento, lo svuotamento. Più che punizione divina è infelice destino umano che tocca a chi esclude, emargina, scarta. Cioè a coloro che non accolgono la misericordia, che è per tutti, e quindi non riescono ad averla verso gli altri. Maria ha visto capitare questo, e ha speranza e fiducia che l’ingiustizia non trionferà: questa è la promessa di Dio al suo popolo e a noi tutti.
Che cosa impariamo da Maria? Su quale strada ci accompagna e ci protegge? Di certo sappiamo che Maria parla col suo silenzio amoroso; testimonia che la vera grandezza è l’umiltà; ci dice che si possono sostenere situazioni difficili; che i poveri e i più fragili non sono soli; che solitudine e compagnia possono convivere; che l’amore è prendersi cura di qualcuno e lasciare che qualcuno si prenda cura di noi; che si può trovare il proprio posto nella Chiesa senza essere in primo piano; che si può prendere parte attiva alla salvezza degli altri lasciando a Gesù di essere l’unico Salvatore; che in compagnia degli apostoli siamo sempre in attesa di una nuova pentecoste.
Continuiamo a contemplare il cuore innamorato della «donna forte del “sì”, che sostiene e accompagna, protegge e abbraccia» (Christus vivit 45), con le parole di Alda Merini:
«Tu sei bella, pellegrina di fede, nessuno è
mai riuscito a rappresentarti perché sei un
sospiro, e anche se Dio ha voluto vestirti di panni
di materia, lo Spirito ha guidato talmente in
alto il tuo cuore da rapirti perennemente in
estasi.
Sei la povertà e la ricchezza, il sogno e la
contraddizione, la volontà di Dio e la volontà
dell’uomo, che tu educhi alla contemplazione.
Il dolore è la tua casa, è la casa del mondo,
eppure tu sei la regina degli angeli, la regina
nostra, la regina di tutti i tempi».
don Maurizio