«Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Oggi, nel giorno di Natale, finalmente possiamo ascoltare la voce di Dio, nei vagiti del suo Figlio Bambino. Un Dio piccolo che piange, uscito dal silenzio del grembo di Maria per gridare all’umanità che c’è anche Lui tra noi. Questa è la prima parola, disarticolata, di Colui che impara a parlare come tutti noi, cercando di farsi intendere da mamma e babbo.
Il Natale ha bisogno di intuizione, non è un evento che comprendono i ragionatori, gli amanti dei sillogismi, della logica. Si accoglie nel cuore ed ha i suoi effetti nella concretezza della vita. Sono questi i due aspetti su cui vogliamo riflettere oggi.
Primo, il cuore. Abbiamo tutti bisogno di sentirci bene dentro, ma cosa ci dà quella pace e serenità che ci auguriamo scambievolmente? La parola che ci raggiunge in profondità è quella dell’angelo notturno: ««Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Questo annuncio è per ciascuno di noi, vuol dire: sei amato, sei amata, Gesù viene da te, per te, con te. Lui ti salva dalla tristezza, se ti senti solo; ti solleva dalla malinconia, se pensi a coloro che non ci sono più; cura il tuo dolore dell’animo, se hai ricevuto del male; ti dà coraggio, se hai una malattia.
Secondo, la concretezza. Il vangelo di oggi ci dice che: «il Verbo (ovvero la Parola) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Le parole che Gesù sussurra al nostro cuore debbono farsi carne, tradursi in gesti concreti di amore verso gli altri. Non ci sono solo i parenti e gli amici: la gioia che l’angelo annuncia ai pastori sarà “di tutto il popolo”, e noi dobbiamo allargare l’orizzonte. Pensiamo a come far felice, con uno sguardo, con un piccolo gesto, anche chi incontriamo per strada. Solo la fraternità ci salverà – ci ricorda papa Francesco – e fraternità vuol dire sentirsi parte di una famiglia più grande, dove nessuno deve sentirsi escluso. Il Natale è la festa della semplicità, non dello sfarzo; degli umili che si sentono amati e accolti; del trionfo della tenerezza sul disprezzo, della giustizia sulla sopraffazione, della delicatezza e del rispetto nei confronti di chi è più debole, diverso, scartato. Gesù è venuto partendo dalla condizione più disagiata, affinché tutti lo sentiamo vicino. I suoi vagiti di neonato sono la più potente parola che ci rivolge: ho bisogno del caldo abbraccio del tuo cuore, altrimenti muoio di freddo, mentre invece sono venuto per dare vita, ma non senza il tuo aiuto.
don Maurizio