Lasciarsi guardare

Un giovane entusiasta insegue Gesù, si prostra ai suoi piedi e tenta il tutto per tutto: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». La richiesta è ardita, impegna soprattutto chi aspira al massimo, cioè al meglio per se stesso: avere la vita eterna. Domanda legittima: chi non spera nel paradiso? Di primo acchito, a insospettire Gesù è l’ambigua captatio benevolentiae, perciò subito precisa: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo». Poi, assecondando il desiderio del giovane – che spera di “avere”, perciò chiede cosa “fare” – lo rimanda alla Legge di Mosè: «Tu conosci i comandamenti». Ma sembra che questo non basti, altrimenti non si sarebbe rivolto al Rabbì originale. Questa strada la conosceva bene, non avrebbe avuto bisogno di cercare qualcosa di più. Il cuore sembra aperto, disponibile ad andare oltre la Legge, a seguire qualche ulteriore indicazione.

Bisogna soffermarsi sul desiderio di questo giovane aspirante alla santità. Talmente forte è lo slancio, con il coraggio di affrontare apertamente il Maestro, che viene da credere alla sua sincera disponibilità a sacrificarsi: è pronto a darsi da “fare”. Ma qui la scena cambia: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca…”». Che cosa manca al ragazzo? Pare che la delusione di fronte alla risposta del Maestro, che gli chiede di lasciare i suoi beni ai poveri e di seguirlo, stia tutta nell’attaccamento alle proprie ricchezze – almeno così conclude l’evangelista: «possedeva infatti molti beni». Forse non si tratta solo di questa eccessiva richiesta, ma ancor prima dell’imbarazzo di fronte ad uno sguardo intenso, profondo e amoroso, che gli legge dentro la sete di autoaffermazione, di conquista con le proprie forze del premio ambito. Il giovane è pronto a fare, ma non a lasciarsi cogliere interiormente; possiede se stesso prima che i suoi beni, questa è la ricchezza da cui non vuol distaccarsi.

A volte può capitare anche a noi di avere buone intenzioni, genuini desideri di impegno, prontezza nel donarsi, ma ciò che il Signore ci chiede – anzi, ci dona –  è di accogliere uno sguardo d’amore che fa uscire da se stessi. Non si tratta di lasciare qualcosa, ma di ricevere un regalo; non c’è da sacrificare beni, ma da abbandonarsi al bene più grande: la liberazione dalla propria sete di autorealizzazione. La cruna dell’io è troppo stretta per lasciar passare l’ago della libertà. Gesù coglie l’occasione di questo incontro per ripetere ancora una volta ai discepoli cos’è la grazia: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

don Maurizio

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