La similitudine del buon pastore, impiegata da Gesù nel capitolo 10 del quarto vangelo, oggi comincia con l’immagine della porta del recinto del gregge. I suoi discepoli sono paragonati alle pecore che si fidano del pastore, perché «sanno che è la sua voce», lo seguono al pascolo e tornano al sicuro nell’ovile: Lui le conduce, le fa uscire a mangiare ed entrare per riposare.
È la metafora della comunità cristiana, dove ogni credente impara a stare con gli altri, distinguendo con chiarezza la voce del Signore da quella degli estranei, per il dono della fede ricevuta nel battesimo – che san Tommaso d’Aquino definisce “la porta dei sacramenti”.
Suonano particolarmente forti alcune espressioni di Gesù sui ladri e briganti che cercano di ingannare i suoi amici, i quali, tuttavia: «dietro ad un estraneo non andranno, anzi lo fuggiranno, perché non riconoscono la voce degli estranei!». Merita qui riflettere proprio sulla voce del Signore, che ascoltiamo nella sua Parola e nella coscienza illuminata dalla fede, la cui eco risuona nella preghiera.
Non sempre, però, quando preghiamo, è la sua voce a prevalere. Può capitare, infatti, che cerchiamo di darci ragione, di mettere sulle sue labbra quel che vogliamo sentirci dire o, peggio ancora, di ascoltare solo noi stessi, senza lasciare spazio a Lui, al suo Spirito consolatore.
Un criterio valido per discernere la sua voce da quella degli estranei viene dagli effetti che seguono la preghiera: serenità anche nelle difficoltà, pace nell’animo tormentato e incerto, disposizione benevola verso gli altri, nessun giudizio, cuore misericordioso e paziente nelle tribolazioni.
Quando, invece, si esce dalla preghiera rafforzati nelle proprie convinzioni, nutriti dal bisogno insaziabile di affermazione e di riconoscimento, animati da un improbabile sacro fuoco di giustizia e di verità, è probabile che sia il nemico ad aver seminato zizzania.
Tutto dipende da come si entra nella preghiera e come se ne esce. Se la porta sono io, è facile sprofondare nel vortice dell’autoaffermazione, e rimanervi imbrigliati, trascinandovi gli altri. Perciò, Gesù dice: «la porta sono io: se qualcuno, per entrare, passa da me, si salverà: entrerà, uscirà, troverà pascolo».
Il proprio rapporto con il Signore ha sempre il suo test di verifica nel rapporto con gli altri; per questo Gesù parla di gregge e non di pecore solitarie. La porta indica, infatti, quello spazio di libertà ove ciascuno cresce nella sequela e nella fraternità: mai la prima senza la seconda.
La conclusione di Gesù suona, dunque, come un avviso di protezione ed un forte invito al discernimento: «Il ladro viene soltanto a rubare, uccidere, perdere. Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano sovrabbondante!». E la vita in abbondanza non è mai solo per me, ma per tutti.
don Maurizio