Nel brano evangelico di oggi, i sadducei, che non credono alla risurrezione dei morti, mettono alla prova Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Egli avrebbe potuto cavarsela rispondendo che, data la loro cattiva fede, è inutile affrontare una questione che dipende proprio dalla fede nel Dio d’Israele, in cui dicono di credere. Invece, accetta il confronto e allarga l’orizzonte. I «figli della risurrezione, sono figli di Dio», del Dio dei viventi, quindi si trovano ormai in un’altra condizione, che non riproduce il mondo terreno, ma lo trascende, va al di là di esso, pur assumendolo pienamente.
In effetti, non è per nulla semplice immaginare quale tipo di relazione sarà stabilita tra noi dopo la morte, condizionati come siamo dalla Commedia dantesca e dalle molte rappresentazioni pittoriche dell’aldilà, dove sembra ripresentarsi l’aldiquà, seppur determinato dal giudizio divino. Rivedremo i nostri cari? Staremo vicini come lo siamo stati durante questa vita? I legami d’amore, per i quali abbiamo lottato, sofferto e gioito, si conserveranno? E in quale forma?
La nostra attenzione è attratta più dal come e da con chi saremo, piuttosto che dal credere che nell’eternità di Dio le cose cambiano, sebbene permangano nella loro identità. Per farci un’idea di questa nuova condizione, occorre guardare a Gesù crocifisso e risorto, che è lo stesso di prima, eppure diverso; ancora il Maestro, ma adesso il Signore. Egli torna al Padre, lascia i suoi e, al tempo stesso, rimane con noi in un altro modo, nello Spirito, con l’eucaristia e i con i poveri, fino alla fine del mondo.
Per immaginare il futuro della nuova creazione è necessario puntare lo sguardo verso il mistero d’amore di Dio, alla sua capacità di fare nuove tutte le cose, conservandone l’identità e conducendole alla pienezza. Di più è difficile dire. Se crediamo che la fede e la speranza passeranno, e rimarrà solo l’amore – come dice san Paolo – possiamo fidarci: nulla di noi e dei nostri cari andrà perduto, perché finalmente gioiremo della comunione con Dio e con gli altri. Il pensiero della morte ci spaventa, è un salto nel buio, eppure il Signore ci promette il suo abbraccio senza fine, dove ogni pena scomparirà, e i veri legami d’amore giungeranno a compimento. Su questa fede nel Dio dei viventi poggia la nostra speranza.
Voler riprodurre questo mondo non sarebbe la cosa migliore per noi, affannati come siamo dalla sete insaziabile di affermazione. Di fronte alla tentazione di continuare a possedere, non stanchiamoci di pregare il Padre, come Gesù ci ha insegnato: “non lasciarci entrare nella prova, ma liberaci dal male”. Saremo finalmente liberi dall’egoismo, dall’ansia di distinguere ciò che è mio da ciò che è di altri; non vivremo più per noi stessi: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
don Maurizio