Come pregare

La scena che il vangelo di Luca ci presenta è una chiara indicazione per la nostra preghiera. L’alternativa non è tanto determinata dal tipo di persona cui potremmo assomigliare – il fariseo o il pubblicano – ma dal modo di porsi dinanzi a Dio e agli altri. Se ci fermassimo ai ruoli non vedremmo spiragli di speranza per il primo, e finiremmo per condannarlo, pensando di stare dalla parte del secondo. Invece, Gesù ci invita a riflettere sulla forma e il contenuto della nostra preghiera, perché a volte facciamo come il fariseo e altre come il pubblicano: anche noi ringraziamo, anche noi chiediamo perdono.

Ringraziare per il bene fatto, quando abbiamo osservato le regole religiose, comporta il rischio di credersi a posto con Dio, come se la vera differenza rispetto agli altri stesse tutta qui, ovvero tra chi osserva e chi trasgredisce. Rendere grazie al Signore significa piuttosto riconoscere che il bene viene da Lui e non da noi. In caso contrario, invece di sentirsi parte di un’umanità graziata e bisognosa di grazia, l’effetto è quello di credersi migliori degli altri, fino al punto di disprezzarli.

D’altra parte, colui che se ne sta in disparte, e chiede perdono, trova la via più diretta: non parte dall’io pieno di sé, ma dal tu misericordioso cui si affida senza alcuna pretesa di giustificarsi. Ciò che conta, dunque, è mettersi dalla parte dell’umanità fragile, ferita, non autosufficiente. Questo è ciò che permette di tornare a casa col cuore sollevato.

La preghiera è un test di verità: può rafforzare ingannevolmente un io confuso che cerca di affermarsi, o smascherare una rappresentazione presuntuosa di sé di fronte all’amore che perdona. Gesù non giudica il fariseo perché ha osservato la legge, né applaude il pubblicano pentito: si limita a dichiararne le conseguenze: «chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Dunque, siamo messi di fronte agli effetti del nostro modo di pregare. La vita può cambiare, quando ringraziamo il Signore riconoscendo che il bene viene da Lui, e impariamo a non giudicare gli altri. Se abbiamo ricevuto il dono di riconoscerci poveri peccatori, sarà più facile lasciarci risollevare dalla sua misericordia, e diventare così più clementi. La questione alla fine si risolve sul peso che assume l’io o quello che riceve il tu. La preghiera autentica smaschera e libera solo quando riusciamo a mettere da parte noi stessi, non gli altri. Presentarsi a Dio per essere approvati è come stare di fronte ad uno specchio muto, ove appaiono deformati i volti degli altri anziché il proprio. Se invece siamo pronti ad inginocchiarci e a chinare il capo sulla polvere, avremo la gioia di sentirci rialzare da quella mano che non si stanca mai di accogliere e di perdonare.

don Maurizio

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