Quando avviene una tragedia voluta dagli uomini – i galilei uccisi da Pilato – o un disastro naturale – le vittime del crollo della torre di Siloe – siamo sempre tentati dalla domanda: di chi è la colpa? Questi esempi di Gesù sono particolarmente attuali per noi oggi. La guerra della Russia contro l’Ucraina e la pandemia, pur essendo due drammi di diversa natura, fanno sorgere lo stesso interrogativo. Che significa allora la medesima risposta di Gesù: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»?
Convertirsi o perire tutti, questa è l’alternativa. Non è la minaccia del Signore, ma il suo lamento, la sua supplica rivolta a questa nostra umanità smarrita, desolata, sconvolta. Siamo chiamati ad assumere il suo sguardo pasquale, che passa dalla morte alla vita; una prospettiva diversa da quella che lega la colpa alla pena. Non conta tanto discutere, analizzare, giudicare: è l’ora di volgersi al bene senza esitazione.
Le bombe che cadono dal cielo infiammano e distruggono, le donne e i bambini fuggono, gli uomini rimangono per difendersi e morire. È indicibile dolore che domanda pietà, soccorso, accoglienza. Non c’è che da rimboccarsi le maniche, aprire il cuore e la casa, offrire ospitalità e donare conforto. Questo significa convertirsi.
Come abbiamo fatto con la pandemia, pregando il Signore di allontanare da noi la peste del virus letale, imparando attenzione e cura, prudenza e sobrietà, così adesso, di fronte a questa immane tragedia voluta da un solo uomo, che inganna il suo popolo, non resta che coltivare semi di pace, di amore, di solidarietà. Potrebbe prenderci lo sconforto, il senso d’impotenza, e invece è l’ora di costruire nuove relazioni, ancor più salde, capaci di ridonare speranza a tutti coloro che sono lacerati dal dolore.
C’è una ragione che viene dalla fede a motivare la svolta del cuore e della vita: la pazienza di Dio. Questo è il tema che attraversa il brano evangelico di oggi. L’albero di fichi che non dà frutti da tre anni è proprio questo nostro mondo ammalato e violento, di cui il Signore non si stanca. Potremmo essere tentati di proiettare su di Lui la nostra delusione, lo scoraggiamento. Ma la parola di Gesù è più forte di ogni tristezza; è la sua supplica rivolta al Padre: «lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire».
Impariamo da Lui, come insegna papa Francesco: «La pazienza evangelica non è indifferenza al male. Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio» (Angelus, 20 luglio 2014). Ricordiamoci però che Signore Gesù ha già vinto con un’unica potente arma: il suo sangue versato per amore di tutti, vittime e carnefici compresi.
don Maurizio