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Impuro
«Chiamata di nuovo la folla, Gesù diceva loro: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”» (Marco 7,14-15). Con queste parole, Gesù non minimizza il senso del peccato: dice solo che esso non è la trasgressione di una norma, di una dottrina, di una legge religiosa, ma vivere per sé e non amare. Questo è ciò che contamina il cuore e lo oscura. Come diceva il giovane curato di campagna alla contessa: «L’inferno, signora, è non amare più» (Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna, 1936).
Nel nostro linguaggio corrente, impurità significa alterazione, sozzura, nel senso di mescolanza di cose che di per sé andrebbero separate. Per la fisica, le sostanze impure sono quelle contaminate da elementi che ne alterano la composizione. Poi c’è chi ritiene che la stessa idea possa applicarsi alle persone: il meticciato sarebbe una minaccia della purezza della razza. Dal punto di vista morale, infine, vengono considerate impure la disonestà e la cattiva condotta, che sporcano il buon vivere. Minaccia di disordine, fonte di ansietà e di conflitti, l’impuro si sedimenta sulle zone di confine, sulle frontiere corporee come su quelle sociali. Nella sfera religiosa, poi, la distinzione puro/impuro assume una differente conformazione: l’impuro coincide con il profano e costituisce insieme a esso il polo negativo del mondo spirituale. Insomma, persiste una tendenza transculturale che preferisce separare più che unire.
Queste premesse fanno riflettere su come anche oggi siamo tentati di aspirare illusoriamente a certi ideali di purezza che, in via di principio, escludono interazione, commistione, mescolanza. Pensiamo all’istinto di difendere territori da intromissioni straniere, alle diete prive di alcuni alimenti, alla conservazione di tradizioni sigillate ed impermeabili ad ogni evoluzione. Sembra puro ciò che è sterilizzato, mantenuto ad un ipotetico stato di natura. Le norme della purezza/impurità vengono spesso giustificate a partire da motivazioni igienico-sanitarie, ma in realtà il sogno dell’incontaminato è ancestrale, come se gli strati di vita e di esperienza, con i relativi fallimenti e arretramenti, invece di rafforzare la fragilità originaria ne costituissero l’indebolimento. Eppure tutti sanno che anche gli animali imbastarditi hanno più salute dei purosangue, molto più fragili e delicati.
«Diceva un foglio bianco come neve: “Sono stato creato puro, e così voglio rimanere per sempre. Preferirei essere bruciato e andare in cenere che cadere preda delle tenebre o venire toccato da ciò che è impuro”. Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva; rise nel suo scuro cuore, ma non osò mai avvicinarsi. Sentirono le matite colorate, ma anch’esse non gli si accostarono mai. E il foglio bianco come la neve rimase per sempre puro e casto, puro e casto – e vuoto» (Kahlil Gibran, Il precursore, 1920).
don Maurizio