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Mormorare
«I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: Sono disceso dal cielo”? Gesù rispose loro: “Non mormorate tra voi”». (Giovanni 6,41-43). Anche a Gesù è capitato di sentirsi parlare dietro sommessamente, in tono malizioso e di malcontento, per le sue pretese giudicate sproporzionate. Chi si crede di essere? Dice di venire dal cielo, ma noi sappiamo dove e da chi è nato.
Oggi si chiama gossip quello che da sempre è noto come pettegolezzo: non si manifesta direttamente alla persona ciò che se ne pensa di male, ma lo si sussurra a mezza voce ad altri. Il protagonista di una conversazione poco benevola è assente, mentre i suoi commentatori si compiacciono della golosa confidenza. Come se volesse indirizzargli, per via traversa, una saggia correzione, chi mormora non fa altro che seminare disprezzo intorno alla sua vittima, seppur con l’ambiguità di sembrarne dispiaciuto, magari più per vanità che per malizia.
In realtà, le chiacchiere rivelano più chi le fa di chi ne è oggetto: mentre altri lo ascoltano incuriositi, diventa immediatamente chiaro il senso di rivalità e di scorrettezza che c’è dietro, fosse anche per la più acclarata verità, con la conseguenza di quanto scriveva Alessandro Manzoni: «La maldicenza rende peggiore chi parla e chi ascolta, e per lo più anche chi n’è l’oggetto» (Osservazioni sulla morale cattolica, 1819). Insomma, nessun vantaggio deriva dalla mormorazione, eppure viene così naturale da suscitare almeno qualche domanda: perché attira maggior interesse il limite altrui che non il pregio? Non è forse il triste modo col quale ognuno giustifica sé stesso, quando guarda la pagliuzza e non si accorge della trave che lo acceca? Consolarsi con i difetti degli altri può sembrare innocuo, ma il prezzo del loro discredito è sempre troppo alto.
Merita dunque meditare su quanto annotava il gesuita Baltasar Gracián: «Prevenire le male lingue. Molte teste ha il volgo, e di conseguenza molti occhi per la malizia e molte lingue per il discredito. A volte vi serpeggia qualche voce maligna che infanga il più alto credito, e se arriva a essere un nomignolo diffuso è la fine della reputazione. Generalmente gli si offre il fianco con qualche vistosa imperfezione, con ridicoli difetti, che diventano ghiotti spunti per le chiacchiere del volgo, anche se vi sono insinuazioni gettate in pasto da una singola emulazione alla malizia comune, ché vi son bocche dedite alla malevolenza, le quali distruggono più rapidamente la fama di qualcuno con una battuta che con uno smascheramento. È molto facile guadagnarsi una cattiva fama, perché le cattiverie vengono credute subito e ci vuol tanto tempo per cancellarle. Eviti dunque, l’uomo accorto, queste sgarberie, contrastando con la sua attenzione la volgare insolenza, ché è più facile prevenire che rimediare». (Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza, n. 86).
don Maurizio