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Corpo

«Prendete, questo è il mio corpo» (Marco 14,22). Con questa espressione, familiare per i cristiani, Gesù consegna sé stesso sotto gli umili segni del pane e del vino, sacramento della sua vita donata sulla croce. Non c’è nulla di più coraggioso, nell’amore, che spendere tutto di sé, anzi, di lasciarsi prendere, trasformando la cattura in offerta.

Il corpo: niente di più concreto e immediato, tanto da attrarre o respingere, da curare o disprezzare, da cercare o fuggire, da amare o odiare. Complesso equilibrio, difficile armonia, nella prassi e nella teoria, quello tra esaltazione e sottovalutazione della corporeità. Non esiste un corpo uguale all’altro. Questa è la prima meraviglia, che muove alla scoperta dell’altro e di sé stessi. Immaginabile nel suo misterioso formarsi, continua e sorprendente nuova creazione, frammento e universo compiuto. Il corpo è un mondo, la figura integrale della persona, percepita dallo sguardo e da tutti gli altri sensi, che ne veicolano il contatto, la conoscenza, l’intimità. Tuttavia, ciò che l’esperienza dice del corpo non è tutto. C’è bisogno di senso oltre i sensi, o meglio, di cercare il senso dei sensi.

Che cosa significa il corpo? Da dove viene? Cosa farne? Quale sarà il suo ultimo destino? Sono domande che riguardano tutti i corpi, il proprio e quello altrui. Le risposte sono molteplici: il rispetto, la cura, la bellezza, la salute, la forza, il piacere, la fatica, il dolore, lo sport, il riposo ecc. Il cristianesimo, lungo la sua storia, spesso ne ha relativizzato l’importanza, in favore della dimensione interiore, spirituale, ovvero dell’anima invisibile. In verità, la fede cristiana trae origine da un evento di estrema corporeità: l’incarnazione di Dio. Il corpo di Gesù, vissuto, donato, crocifisso ed entrato nell’eternità di Dio è il mistero su cui poggia tutta l’esistenza credente. «È in lui che abita corporalmente la pienezza della divinità», scrive san Paolo (Colossesi 1,9).

Dunque, il corpo, non solo nella sua bellezza e salute, ma anche nella sua sfigurazione dovuta all’imperfezione, alla malattia, al danno, merita di essere amato. Così la stupefacente diversità di donna e uomo, l’evoluzione naturale di bambino, giovane, adulto, anziano, dal nascere al morire, annunciano che qui, nel corpo, la vita si compie. Questo è il luogo misterioso e stupendo dell’identità personale, schermo su cui si riflettono anima e cuore, specchio dell’essere, in cui ciò che siamo si esprime fino al vertice estremo di sé: l’amore e il dolore. Pertanto, ogni corpo esige irrinunciabile rispetto, meravigliata ammirazione, custodia premurosa, perché un giorno, quando avrà nuova vita oltre la morte, possa essere riconosciuto nella sua verità e bellezza infinita.

Ha scritto il grande scultore Igor Mitoraj: «Il nostro corpo è un contenitore dell’eternità. Siamo dei contenitori che legano il passato con il futuro. Se dovessi scegliere con quale materia rappresentare il corpo prenderei la terracotta: è molto vicino alla terra, alla natura e ha in sé l’aspetto materno, vicino a me e alla mia sensibilità. Mi piace però anche il marmo che ha in sé una luce straordinaria che dà il senso d’immortalità, del passato e del futuro nello stesso tempo. E nel marmo c’è un grande spirito».

don Maurizio

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