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Servire
«Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Giovanni 12,26). Il verbo servire deriva dal latino servus, schiavo; in greco, pais indica sia il servo sia il figlio. Ci si riferisce comunque ad una relazione asimmetrica, quella da cui oggi prendiamo distanza, in favore di uguaglianza, fraternità e libertà, i valori propugnati con forza dalla Rivoluzione francese, richiamati anche da papa Francesco, con il loro respiro evangelico, nell’ultima enciclica Fratelli tutti (nn. 103-105). Al senso negativo di servire, tuttavia, se ne affianca anche uno positivo: a che serve una cosa, una persona? Qual è la sua utilità, il suo apporto, il suo valore?
Spesso capita di contrapporre il servizio al potere: si sta dalla parte di chi comanda o da quella di chi è sottomesso. In realtà, c’è un modo per superare l’alternativa, per esempio quando si rinuncia ad ottenere ad ogni costo ciò che si vuole, evitando di strumentalizzare l’altro, di renderlo funzionale al proprio interesse. Ciò che trasforma il potere in servizio è scegliere di donare invece di prendere, di partire dall’altro anziché da se stessi, di cercare cosa fa bene a tutti piuttosto che solo a me.
Diceva l’imprenditore Adriano Olivetti: «La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza».
Forse il modo migliore per non temere di perdere qualcosa è quello di donarla, come suggeriva Alessandro Manzoni:
«Occupati dei guai, dei problemi
del tuo prossimo.
renditi a cuore gli affanni,
le esigenze di chi ti sta vicino.
Regala agli altri la luce che non hai,
la forza che non possiedi,
la speranza che senti vacillare in te,
la fiducia di cui sei privo.
Illuminali dal tuo buio.
Arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso
quando tu hai voglia di piangere.
Produci serenità
dalla tempesta che hai dentro.
“Ecco, quello che non ho te lo dono”.
Questo è il tuo paradosso.
Ti accorgerai che la gioia
a poco a poco entrerà in te,
invaderà il tuo essere,
diventerà veramente tua nella misura
in cui l’avrai regalata agli altri».
don Maurizio