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Deserto

«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» (Marco 1,12). Il termine deserto è il sostantivo che indica un luogo arido, ma in origine è un aggettivo che significa “abbandonato” (participio passato di deserĕre, abbandonare). È un luogo senza vita, abitato solo dal vento, rovente di giorno e gelido di notte, lasciato a se stesso, pericoloso da attraversare. Chi ci va deve avere proprio un buon motivo, forse quello di scavarvi pozzi in cerca di petrolio, altrimenti il rischio è sicuro. Ma il nostro pensiero lo avverte anche come luogo incerto dell’anima: quando ti senti desolato, smarrito, senza riferimenti. Il deserto entra dentro quando sono assenti gli altri, se vengono a mancare o perché ti abbandonano. Senso di vuoto e aridità spaventano, per questo è difficile scegliere di avventurarvisi.

Anche Gesù vi è spinto dallo Spirito, a lui tocca solo il coraggio e la forza di restarci. Nel deserto si recano profeti ed eremiti, viandanti ed esuli lo percorrono, profughi e fuggiaschi tentano di attraversarlo. I leader delle grandi religioni vi hanno cercato i valori spirituali e terapeutici del ritiro, non per fuggire ma per trovare pace. Perché, come dice un proverbio Tuareg: «Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi perché l’uomo possa viverci. E il deserto affinché possa ritrovare la sua anima». Il deserto può diventare una strada per chi ha una meta, altrimenti è l’oblìo, dove ogni cosa scompare. Ma davvero si può risalire alle sorgenti della vita vagando tra dune sabbiose plasmate solo dal vento?

Nel suo primo messaggio alla città e al mondo, per la Pasqua del 2013, papa Francesco diceva: «Quanti deserti, anche oggi, l’essere umano deve attraversare! Soprattutto il deserto che c’è dentro di lui, quando manca l’amore». Oggi, anche noi siamo coinvolti in processi di desertificazione: quando non amiamo o non siamo amati, e perdiamo la fiducia di uscirne vivi. Ma nel deserto l’unica cosa da fare per sopravvivere è muoversi, camminare, non restare fermi. Solo così, anche nell’ora più buia, col cuore inaridito e la mente vuota, può germogliare la speranza, con la sorpresa di un dono inatteso.

Anna Frank scriveva nel suo Diario: «È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità».

don Maurizio

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