Lessico spirituale per Casa Ilaria

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Guarire

«Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni» (Marco 1,34). Con queste poche parole, il vangelo sintetizza l’agire di Gesù in mezzo a malati e indemoniati. Gente disastrata dalla vita, poveracci scartati da tutti, a cominciare dalle autorità religiose. Avvicinare chi sta male, per varie ragioni, non è facile per nessuno. Dalla sofferenza altrui si fugge: è una minaccia per la propria incolumità. Purtroppo lo sappiamo bene specialmente di questi tempi, assediati come siamo dalla paura del contagio. Questa è una situazione estrema, alla quale però si affiancano le relazioni quotidiane, anche senza la pandemia, quando s’incontra il dolore feriale.

Ci si può ammalare, si possono ammalare gli altri. Due diversi modi segnano il confine tra salute e malattia. Altro è ciò che riguarda se stessi, altro quel che riguarda gli altri, ma in comune vi è la medesima prospettiva: il radicale cambiamento di sguardo. Quando ci si scopre malati, la visione del mondo si trasforma. La malattia sembra definire tutto l’orizzonte e persino l’identità: la persona non si percepisce più come libera, ormai è “malata”. Il futuro incerto si colora di scuro, la novità è minacciosa, ciò che non dipende da sé adesso riguarda tutto di sé.

Poi si ammalano gli altri, le persone care. Insieme all’empatia dell’affetto, insorge un sentimento confuso, come se il desiderio di vicinanza, di farsi prossimi al dolore venisse frenato: sei in una condizione diversa, che mi fa paura, per te, per me. Mi avvicino, mi prendo cura, ma ti sento e mi sento lontano. Se è vero che in tutti e in ognuno la malattia genera il mutamento di sguardo, allora è possibile che sia questo a dover prendere un’altra direzione, nei sani come nei malati. Mentre al dolore non si può impedire di restare avvolto nel mistero, si può consentire all’amore di dischiudere un mistero ancor più grande, l’unico che può davvero guarire tutti nell’animo.

Così scriveva Sr Ilaria nel suo diario: «Questa sera mi sono commossa vedendo una malata che mangiava un pezzo di pane e beveva un po’ d’acqua: la sua cena per questa sera! E l’altro con la febbre che si stava sdraiando su una panchina di 30 cm di larghezza… e ogni sera un malato portato sulla barella e quasi in coma. Mi sento impotente di fronte alla maggior parte delle situazioni. Alcune migliorano… ma dovessi dire perché, sarei veramente in difficoltà! Se ora è così, non oso pensare come sarà quando non ci saremo più né io né Sabrina. Eppure non posso pensare di essere indispensabile per nessuno, nemmeno per questo pezzo d’Africa. […] Gesù dove sei? Cerco nuovamente il tuo volto, soprattutto nel volto di questi malati? So gioire delle loro guarigioni? Donami la gioia di servirti in questi poveri, malati, sofferenti!» (Accetto tutto, 25 settembre 2002, p.185).

don Maurizio

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